Di Alain Corbin, è un libro delicato e difficile da dimenticare. Corbin, pioniere della storia della sensibilità, ha insegnato all’università Paris 1 Pantheon Sorbonne: studioso di storia sociale e di storia delle rappresentazioni, è autore di numerose pubblicazioni tradotte in italiano. Tra tutte dobbiamo dire che questa è una delle nostre preferite.

Alla fine del XVIII secolo si è intensificata, dice Corbin, la sensibilità individuale per i fenomeni meteorologici, in particolare nel descriverne l’effetto nell’animo. Corbin si riferisce a Bernardin de Saint Pierre che nel 1784 scriveva che per assaporare la pioggia occorre che l’anima viaggi e il corpo si riposi, smettendo di lamentarsi con frasi come “non ci sono più le stagioni” o “non c’è più ordine negli elementi della natura”: “cattivi ragionamenti in cui si perde l’uomo senza spina dorsale”.

Corbin ricorda un fatto citato da Plinio: riguarda un console Romano che quando pioveva faceva alzare il suo letto sotto le fitte frasche di un albero per sentire la pioggia e addormentarsi. Bernardin de San Pierre non fu l’unico, in quel periodo, a scrivere della pioggia. Joseph Joubert, nel suo Carnet 1779-1783 e il pittore Pierre Henri Valenciennes descrivono il piacere dello sguardo sotto la pioggia, “la solitudine e il silenzio che avvolgono un viaggiatore e che obbligano animali e tacere e a tenersi al riparo restituiscono al viaggiatore le impressioni più svariate. Avvolto nel suo mantello, il capo coperto, camminando per sentire deserti, tutto lo colpisce e tutto è più grande davanti ai suoi occhi. I ruscelli sono gonfi, l’erba più spessa, le pietre più lucenti, il cielo è più vicino alla Terra e tutti gli oggetti, racchiusi in un orizzonte più stretto, occupano più spazio e rivestono maggiore importanza”.

La pioggia secondo Valenciennes dona lucentezza agli oggetti della natura ma non subito, nel giro di un’ora quando gli uccelli riprendono a cantare con rinnovato ardore. Corbin fa riferimento a William Gilpin ritenuto uno dei padri del codice della bellezza pittoresca che così descrive: “la pioggia conferì una lugubre nobiltà e questi paesaggi, gettando un velo di oscurità sulle sponde lontane del fiume introduceva di tanto in tanto qualcos’altro, come una piacevole messa a distanza”.

Da Darwin che racconta le sbalorditive piogge nelle foreste che circondano il Corcovado ad Henry David Thoreau che magnifica la pioggia percependo “una benevolenza tanto infinita quanto inconcepibile” fino a Walt Whitman nella sua celebre poesia “La voce della pioggia” passando da Mine de Biran. Stendhal detestava la pioggia, Leonardo da Vinci immaginava nei suoi diari il diluvio universale, madame Sévigné ne esalta l’intriganza, Baudelaire fa del paesaggio urbano piovoso una componente dello spleen, Verlaine accorda la pioggia con la malinconia.

Ma c’è anche un altro aspetto della pioggia: quello politico. Corbin ricorda la festa della federazione tenutasi a Parigi nel 1790 per l’anniversario della Bastiglia, dove i controrivoluzionari si rallegrarono della pioggia come resistenza del Popolo, esperienza condivisa che verrà poi ripetuta, una quarantina d’anni dopo, da Filippo I che si conquistò il favore della folla camminando sotto la pioggia come un proletario. E se anche la metereologia ha smontato la concezione religiosa della pioggia, tracce ne restano nelle antiche cerimonie molto sentite come quella di San Medardo. Ed oggi? Oggi la pioggia fa notizia in un mondo sempre in cerca di notizie, sopravvalutando l’io di chi è testimone di una precipitazione eccezionale.

Anna Maria De Luca

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